Papa Pio XII

Pio XII e l'Olocausto

Appunti sul tema del rapporto Cristianesimo/ebraismo

Pubblicato su Libertà di educazione n.11-12 [1997/98], pp. 26-31. L'unica variante qui introdotta è l'aggiunta di un titoletto tra parentesi quadre.

«Popolo mio, che cosa ti ho fatto?»

«Per Lui si batteranno il petto tutte le nazioni.»

«Il Suo sangue ricada su di noi, e sui nostri figli.»


alle origini di un difficile rapporto

Il rapporto tra Cristianesimo ed ebraismo non è certo semplice da definire: si intrecciano, a complicare le cose, equivoci legati alla politica e all'economia, senza contare che il dramma dell'Olocausto pesa sulla memoria, condizionando spesso la riflessione. Ma a monte sta il fatto è che da una parte il Cristianesimo ha un indubbio rapporto di (parziale) derivazione dall'ebraismo: da un punto di vista fenomenologico ciò è evidente in quanto Gesù, dal lato della ascendenza umana, era ebreo, ebrea era Maria sua madre, ebrei i suoi discepoli, da Pietro a Giovanni, ebrei Stefano, Paolo, Barnaba e tutti i primi cristiani. Ma proprio dalle massime autorità religiose ebraiche viene condannato a morte Gesù: il governatore romano della Palestina, secondo i resoconti evangelici, oppose una certa resistenza a pronunciare una sentenza che gli appariva sproporzionata, e solo la pressione della folla di Gerusalemme, istigata dai "sommi sacerdoti", lo convinse a optare, per cinica opportunità politica[1], per la condanna alla crocifissione.

Abbiamo dunque, alle origini del Cristianesimo, questa duplicità: da un lato gli ebrei sono il popolo eletto, scelto da Dio come quello dalla cui stirpe sarebbe nato il Messia, che sarebbe stato non solo il liberatore politico del popolo eletto, ma il Redentore del genere umano, in quanto Uomo-Dio. Da un lato dunque gli ebrei hanno svolto una funzione insostituibile, positiva: per tutta la durata dell'Antico Testamento, arco di tempo nel quale essi si sono mantenuti fedeli alla alleanza con Dio. Ma dalla venuta di Cristo una parte considerevole del popolo ebraico non solo volge le spalle all'Inviato di Dio, al Figlio Unigenito, ma addirittura ne esige la morte, come i vignaioli infedeli, e da lì, mantiene nei confronti del Cristianesimo un atteggiamento che sarebbe eufemistico definire sprezzante.

[questioni teologiche]

Qui sta un paradosso, che ha indubbiamente una dimensione di mistero: il popolo originariamente più vicino a Dio, proprio nel momento in cui Dio gli si fa letteralmente appresso, decide di catapultarsi nella più abissale lontananza da Dio, Suo amico e alleato di un tempo.

Potevano le autorità religione ebraiche riconoscere in Gesù il Messia? La risposta di S.Tommaso d'Aquino, uno dei massimi teologi cattolici, è affermativa: i dottori della legge avevano la possibilità di constatare come nelle opere compiute da Gesù si avverassero troppi "segni" per poter dubitare del suo carattere messianico.

Per la fede ebraica, per la fede di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosé, era in qualche modo ammissibile che Dio potesse essere “trino”? C’è un elementare presupposto per rispondere: per chi crede, Dio stesso ha plasmato la coscienza religiosa del popolo eletto, rivelandosi attraverso una storia sacra, e certamente Dio non può aver inculcato alcun errore in coloro che aveva scelto. Il monoteismo, che caratterizza la fede veterotestamentaria, non va dunque inteso come alternativo al mistero trinitario, ma al politeismo, che nulla ha a che spartire con quello. L’Antico Testamento non afferma in modo esplicito il mistero trinitario, ma nemmeno lo nega o lo esclude. Fu un atto di arrogante presunzione quello commesso dalle massime autorità religiose ebraiche quasi potessero “dettar legge” a Dio, escludendo in Lui un Mistero, e pretendendo di averLo già capito fino in fondo.

I segni compiuti da Gesù bastavano a dimostrare che egli era, quale si proclamò apertamente solo all'ultimo, il Figlio di Dio? Probabilmente per raggiungere una certezza di questo genere sarebbe stata necessaria, come per gli stessi discepoli, una prolungata convivenza con Cristo. Ma anche in base a quanto veniva loro riferito, c'era quanto bastava quanto meno per "incuriosirsi", per mettere in discussione le proprie fossilizzate certezze e guardare con simpatia e sincerità quell'Uomo, che parlava e agiva "come nessun altro". Che questo sia vero lo prova il fatto che comunque alcune delle massime autorità religiose ebraiche, alcuni farisei, come Nicodemo e Giuseppe di Arimatea si lasciano precisamente mettere in discussione da Cristo, e permangono in un atteggiamento di apertura nei suoi confronti. Lo stesso Gamaliele, un fariseo "d.o.c.", maestro di Saulo di Tarso, avverte i suoi correligionari, dopo la scomparsa del cadavere del crocifisso e l'inizio della predicazione degli Apostoli, di non correre il rischio di "mettersi contro Dio", semmai fosse vero che quell'Uomo è risorto, che quell'Uomo è Dio.

Pur ammettendo che ci fu un oggettivo errore in coloro che pretesero la condanna di Cristo, si può però dire che la Sua crocifissione fu esaurientemente dovuta all’azione della folla di Gerusalemme? Questo è un punto di grande importanza: la folla che gridò “crocifiggilo” ha avuto una responsabilità diretta, ma indirettamente la causa della morte di Cristo è l’intero genere umano, a partire dai progenitori, nella misura in cui ogni essere umano pecca. Sono i nostri peccati, i peccati di tutti gli uomini, la causa della Croce, e quella parte del popolo ebreo che volle condannare Cristo non ha perciò la responsabilità totale della condanna di Gesù.

un percorso sofferto

1. gli inizi della Chiesa. Che i primi cristiani si considerassero in qualche modo in continuità con Israele lo dimostra il fatto che la predicazione degli apostoli dopo la Pentecoste si rivolge in modo primario e privilegiato proprio al popolo ebreo, in particolare al popolo di Gerusalemme (Atti, cap. 2 sgg.). Gli stessi discorsi di Pietro, raccontati negli Atti degli Apostoli, rivelano la preoccupazione di non urtare troppo la mentalità ebraica, insistendo sulla resurrezione di Cristo, più che sulla Sua divinità (tant’è che il primo ad affermare pubblicamente in modo esplicito la divinità di Cristo sarà Stefano, non per nulla immediatamente lapidato). Solo il rifiuto di una parte consistente del popolo eletto di accogliere la Buona Novella spinge Paolo e gli apostoli a volgersi anche ai pagani. Diventò in breve assolutamente evidente che una parte consistente del popolo eletto non era minimamente disponibile ad accettare la rivelazione di Cristo, e che pertanto la strada del giudaismo si divaricava marcatamente da quella del Cristianesimo. Lo stesso Paolo mette a tema questo problema (nella lettera ai Romani, cap. 9/11), parlando del mistero dell’“indurimento di una parte di Israele”, “in atto fino a che tutte le genti saranno entrate” (nella Chiesa, Rm 11,25).

2. Il medioevo. Questa divaricazione è rimasta nel corso dei secoli, ma a lungo non è degenerata in fenomeni di vistosa intolleranza o di persecuzione. Con un po’ di approssimazione potremmo dire che per tutto il Medioevo, ossia fin tanto che la fede cristiana plasmò la civiltà, i rapporti tra cristiani ed ebrei, pur attraversando fasi alterne, furono sostanzialmente corretti, se non buoni. Come ricorda ad esempio de Lubac nella sua documentatissima Esegesi Medievale, capitava non di rado che ebrei presenziassero alla liturgia cattolica e che avvenissero dibattiti pubblici su temi religiosi condotti in modo dialogico, e con reciproco arricchimento. Si può anche ricordare il fenomeno della civiltà mozarabica, fiorita nella Spagna arabizzata precedentemente alla Reconquista, caratterizzata da tolleranza e intreccio di rapporti tra gli appartenenti alle tre religioni monoteistiche.

3. L’età moderna. Le cose incominciarono a cambiare in misura esattamente proporzionale alla perdita di incidenza della fede sulla vita della civiltà. Non è un caso che i ghetti diventano strumento di emarginazione solo alla fine del Medioevo. Ed è alla fine del Medioevo, con la Peste nera, che agli ebrei cominciano ad essere addebitati comportamenti infami (come appunto la volontaria diffusione dell’epidemia pestilenziale) col risultato di cominciare a farne dei comodi “capri espiatori”.

Cominciò così a prendere decisa consistenza un antigiudaismo che è opportuno capire nella sua distinzione/opposizione all’antisemitismo, come riconoscono autorevoli personalità ebraiche: il primo fenomeno, per quanto negativo comporta “semplicemente” una certa avversione verso la cultura e la mentalità ebraiche, quali si sono di fatto configurate negli ebrei della diaspora, dispersi nel mondo cristiano-europeo; si tratta in altri termini di una avversione di carattere spirituale, culturale, senza alcuna implicazione biologica, laddove l’antisemitismo significa precisamente l’odio alla etnia ebraica, concepita in termini biologistici e razziali. Tant’è che l’antisemitismo arriva a voler eliminare anche fisicamente anche quegli ebrei che si fossero convertiti ad altre visioni del mondo (anche atee). L’antigiudaismo è il fenomeno più antico: rimasto “in incubazione” (o almeno in uno stato “benigno” e latente) per secoli, prende corpo alla fine del medioevo, come dicevamo prima. L’antisemitismo è un fenomeno decisamente più recente, essendo legato alle teorie razziali che fiorirono nel secolo scorso (è noto come Darwin abbia avuto, probabilmente oltre le sue intenzioni, delle interpretazioni di tipo razzistico: alcune razze sono più vicine alla scimmia, mentre gli indoeuropei sono il frutto più perfetto, il vertice della evoluzione).

Non può sfuggire come la progressività della avversione agli ebrei sia stata direttamente proporzionale all’allontanamento della cultura europea dal Cristianesimo, passando da un blando e potenziale antigiudaismo a un antigiudaismo “conclamato” (in età post-medioevale) fino a giungere (proprio nel momento della più decisa svolta anticristiana della cultura) all’antisemitismo.

4. Colpa della Chiesa? Non ha dunque nessuna responsabilità la Chiesa riguardo all’avversione di cui è stato fatto oggetto, specie nel ‘900, il popolo ebreo? Sono note le accuse che alla Chiesa vengono rivolte in proposito: aver definito gli ebrei “popolo maledetto”, “popolo deicida”, giustamente punito con la diaspora per aver ucciso il Figlio di Dio. Indubbiamente ci può essere stata, specie a livello del clero parrocchiale meno preparato, qualche esagerazione, ma attribuire alla parola ufficiale della Chiesa un incitamento all’odio antigiudaico appare francamente falso e insostenibile. Né va comunque dimenticato che da parte degli stessi ebrei non sono mancate responsabilità: a livello culturale è esistito un vero e proprio anticristianesimo, ben più aggressivo dell’antigiudaismo cristiano. Nelle preghiere ebraiche si recitava una invocazione affinché i “nazareni” (nozrim) “sparissero all’istante e fossero cancellati dal libro della vita”; Gesù viene spesso presentato come un impostore e uno stregone, e Sua madre viene offesa con le più odiose accuse.

A livello pratico poi, quello che ha certamente nuociuto all’immagine degli ebrei, specie da un certo punto in poi, allorché il capitalismo moderno prese piede, fu l’associarli alla pratica dell’usura. È verosimile che questa motivazione, in un’epoca in cui il denaro contava sempre più, abbia contribuito a creare sentimenti di avversione antigiudaica prima e antisemitica poi, ben più consistentemente di quanto non abbiano potuto le motivazioni spirituali. Infatti queste ultime pesano qualcosa solo per chi crede (in Cristo), e chi crede sa che la regola fondamentale è il perdono, a imitazione dello stesso Maestro, che in croce perdonò ai suoi carnefici e pianse sul destino di Gerusalemme.

la tragedia dell’Olocausto

1. Cause prossime dell’antisemitismo. E arriviamo così al grande dramma del Novecento, la Shoah. Essa fu preparata dall’antisemitismo che si diffuse in diverse nazioni europee, dalla Francia alla Russia, dalla Germania alla Polonia: a partire dall’Ottocento si erano moltiplicate azioni persecutorie nei confronti degli ebrei (tristemente famosi furono i pogroms in Russia). Ciò, come dicevamo, può essere meglio compreso tenendo conto della posizione che molti ebrei si erano acquistata a livello economico e particolarmente finanziario. La realtà degli ebrei era numericamente ridotta, ma spesso, per l’acuta intelligenza e la tenace abilità tanto più coltivate per la situazione di emarginazione in cui erano tenuti, strategicamente ed economicamente potente. Molti dei maggiori colossi bancari e industriali erano dominati dal denaro ebraico. Ed è un fatto che la mentalità ebraica è oggettivamente diversa da quella cristiana, non contemplando ad esempio forme di “indulgenza” verso i propri debitori, ma prevedendo la più rigorosa precisione. Il che poteva non essere capito da chi aveva un’altra mentalità, ingenerando a lungo andare fenomeni di malevolenza e di avversione. Queste annotazioni non giustificano in alcun modo l’antisemitismo, ma aiutano a capire come la sua radice vada ricercata ben oltre un antigiudaismo di origine spirituale.

2. Cristianesimo nazismo: opposizione dottrinale. Il culmine delle persecuzioni antisemitiche giunge con l’Olocausto messo in atto dai nazisti. Nessuno storico serio potrebbe in buona fede sostenere che il nazismo sia stato un fenomeno di derivazione cristiana. L’ideologia nazista è una tra le più radicalmente opposte al messaggio cristiano: nega violentemente il Cristianesimo, nega l’esistenza di Dio e la spiritualità dell’uomo. Riduce tutto a materia, interpreta l'uomo in chiave biologista e dimostra un odio verso l’umano che è il più violento rovesciamento dei valori cristiani. Non a caso si rifa al paganesimo tellurico dei germani precristiani, e non caso negli scritti di Hitler e Goebbels troviamo una esplicita avversione al Cristianesimo. Per questo appare incredibile la tesi di Nirestein che “la Germania non diventò pagana in un giorno” (lo sarebbe rimasta, secondo lui, anche con Hitler): certo che non li divenne in un giorno, ma in tre quattro secoli le sue élites si allontanarono progressivamente dal Cristianesimo. Era forse cristiano Kant? Lo era Hegel? Si comportò da cristiano Bismarck? E Guglielmo II?

3. Cristianesimo nazismo: tolleranza pratica? Ma, ammettiamo pure che tra Cristianesimo e nazismo ci fosse una opposizione teorica: non dovrà almeno concedere che praticamente la reazione della Chiesa, anche della Chiesa cattolica, all’antisemitismo fu piuttosto debole, se non larvatamente ammiccante? In particolare ci si è chiesto perché Pio XII non condannò nella maniera più solenne l’Olocausto, di cui era a conoscenza.

prospettive aperte

Il documento vaticano recentemente pubblicato, pur avversato da una parte dell’intellighentsja ebraica, ha avuto il consenso dei molti autorevoli ebrei. La Chiesa ha dimostrato coraggio e volontà di purificazione della propria memoria. È auspicabile che si prosegua su questa strada, con gesti di buona volontà da parte di tutti e una ricerca di dialogo senza pregiudizi.

Per i cristiani c’è una sola Verità, Cristo. Non si tratta di promuovere dei compromessi sulla verità. Ma di promuovere sempre più la possibilità di una sincera e fraterna collaborazione per il bene dell’uomo, nell’obbedienza a Dio creatore, che vuole tra tutti i suoi figli rispetto, fratellanza, perdono reciproco.

note


[1] In effetti il reato di lesa maestà, minacciosamente adombrato dai sommi sacerdoti (“se lo liberi non sei amico di Cesare, chiunque infatti si fa Re si alza contro Cesare”) non reggeva ad un più attento esame: Cristo infatti, pur ammettendo di essere Re, sottolinea con inequivocabile chiarezza che il Suo Regno “non è di questo mondo”, e non è perciò direttamente concorrenziale a quello dell’Imperatore Romano.